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La gestione finanziaria nelle imprese italiane: un fattore cruciale spesso disatteso

La gestione finanziaria delle imprese italiane mostra caratteristiche specifiche che, pur rintracciabili anche nei competitor internazionali (europei e non), ne fanno un unicum soprattutto alla luce della nota prevalenza di PMI nel nostro tessuto industriale e storico.

Il sistema economico italiano ha subìto la sua prima importante trasformazione nel secondo dopoguerra, quando con la ricostruzione si è avviato quel processo che ha portato il nostro Paese ad essere la seconda economia manifatturiera dopo la Germania, con una crescita del PIL per lungo tempo in doppia cifra.

È proprio in quegli anni, complice anche una traduzione dei contributi di importanti studiosi americani (fra tutti Modigliani e Miller) probabilmente frettolosa e non sufficientemente approfondita, che la gestione finanziaria delle imprese italiane venne relegata a un ruolo marginale all’interno delle funzioni aziendali, anche alla luce di due importanti condizioni di base:

  • Il bassissimo costo del capitale.
  • Una cultura finanziaria e professionale certamente poco improntate a corretti processi di pianificazione, gestione finanziaria e controllo delle risorse.

Come venne sminuita la gestione finanziaria


A partire dagli anni ’60 del secolo scorso le banche italiane avevano sviluppato una modalità di approccio alla relazione di clientela poco approfondita, basata più sulle garanzie e sulla conoscenza personale che non sui dati di bilancio.

Inoltre una certa cultura professionale (e conseguentemente anche aziendale) aveva fatto proprio l’assunto che indebitarsi fosse conveniente a prescindere da qualunque altra considerazione, perché tanto poi gli interessi passivi si “scaricavano” dai redditi.

La normativa italiana in materia di bilanci per lungo tempo è andata nella direzione opposta a criteri di trasparenza e correttezza con gli stakeholder, giustificando sistematiche manipolazioni dei dati sia a fini fiscali sia all’ottenimento di affidamenti bancari.

Le infauste conseguenze

Le conseguenze di una simile situazione sono facilmente immaginabili, anche perché, per alcuni versi, si sono ripetute nel corso del periodo precedente alla recente grande crisi: in un sistema economico dove le risorse finanziarie sono accessibili con relativa facilità e a basso costo, le imprese vengono fortemente incentivate a crescere quasi esclusivamente a leva, nell’erroneo presupposto che il rendimento del capitale sarà sempre più alto del costo del capitale e che, pertanto, il capitale di rischio sia quasi un lusso superfluo.

Nasce in quegli anni la situazione, più volte riscontrata anche in seguito, che è possibile sintetizzare con la ben nota formula “azienda povera, imprenditore ricco”.

Produzione e vendite prevaricano (purtroppo) la gestione


La gestione finanziaria rimase, e rimane, pertanto ai margini dell’organizzazione aziendale nelle imprese italiane, nelle quali predominano tutt’ora la funzione produzione e la funzione vendite. L’Italia, così come gli altri Paesi dell’Unione Europea, in tutta la lunga fase che ha preceduto l’introduzione dell’Euro, non è stata soggetta ad alcun vincolo nell’espansione del debito pubblico e la spesa elettorale venne progressivamente finanziata in deficit attraverso emissione di titoli di Stato e crescita progressiva dell’imposizione fiscale.

Soprattutto quest’ultima circostanza spiega, e forse addirittura giustifica, l’atteggiamento di tanti imprenditori per i quali la gestione finanziaria è semplicemente una questione di convenienza a indebitarsi o la possibilità di ottenimento di incentivi (fino alla fase finale di introduzione dell’Euro gli aiuti di Stato erano prassi normale nel nostro Paese e nelle altre economie dell’Unione).

Non serve attribuire un ruolo e un compito specifici a una funzione aziendale che si limita a reperire risorse a debito presso più banche dando corpo alla prassi del pluri-affidamento, vista dal lato bancario, e del sovra-indebitamento, lato imprese.

Al più assumono rilievo le figure, sovente rappresentate da consulenti esterni, che sono incaricate di reperire fondi presso organismi nazionali e internazionali allo scopo di ottenere risorse finanziarie al più basso costo possibile.

In altre parole, la gestione finanziaria, quando esiste un’apposita funzione aziendale, viene delegata a risolvere il problema della provvista e del costo delle risorse, senza svolgere alcun tipo di servizio orizzontale nei confronti di tutta la struttura dell’impresa, ovvero indicando le priorità, le compatibilità e la sostenibilità.

Un approccio gestionale errato: poniamoci il problema

Un simile approccio alla gestione finanziaria delle imprese, quasi sempre privo non solo di corretti supporti di pianificazione e programmazione economico-finanziaria ma anche di strumenti per la valutazione delle performance storiche, determina una vera e propria cultura dell’analisi aziendale, svolta internamente all’impresa, e della valutazione di parte bancaria.

Gli investimenti si fanno per ottenere contributi pubblici e per dedurre interessi passivi dall’imponibile fiscale.

Se la grande crisi, dalla quale si sta faticosamente uscendo, ha certamente spazzato via molte delle false certezze che hanno fondato la crescita a debito del sistema Italia, è sicuramente il crescente processo di internazionalizzazione e digitalizzazione, oltre all’accresciuta concorrenza a livello globale, che hanno posto alle imprese italiane il problema delle risorse finanziarie e di un loro utilizzo programmato e non casuale.

La gestione finanziaria diventa (finalmente) un fattore cruciale


L’insieme delle imprese ormai decisamente avviate al processo noto come industria 4.0 non rappresenta purtroppo la totalità delle imprese italiane. Molte di queste, sopravvissute al processo di razionamento del credito messo in atto dal sistema bancario grazie al rinvio degli investimenti o alla riduzione del circolante, devono tuttavia ora affrontare il tema di uno sviluppo reso molto meno semplice da almeno due circostanze:

  • La digitalizzazione che sta investendo in modo crescente il sistema economico.
  • Il profondo mutamento in corso nel sistema finanziario e in quello creditizio italiano che registra la presenza di numerosi soggetti nati per sostituire il ruolo di intermediario delle banche (si pensi alla piattaforme on line per la cessione di crediti commerciali).

La gestione finanziaria diventa, unitamente a strumenti sempre più sofisticati e intelligenti messi in campo dagli intermediari creditizi, un fattore cruciale di sviluppo per le imprese che non vogliano farsi risucchiare, proprio al termine della crisi, nella spirale negativa in cui sguazzano scarsezza di risorse e necessità di fare investimenti.

L’importanza di saper valutare la fattibilità


Si tratta di dotare la funzione finanziaria e la gestione finanziaria di strumenti adeguati ma, soprattutto, si rende necessario collocarne correttamente il ruolo enfatizzandone caratteristiche che nel passato sono mancate.

La gestione finanziaria dovrà pertanto assumere sempre più il ruolo di valutatore di ultima istanza non solo della convenienza delle decisioni imprenditoriali (siano esse relative agli investimenti o al capitale circolante, alle acquisizioni o all’export) ma soprattutto della loro fattibilità, ovvero della loro sostenibilità nell’ambito del processo di produzione, impiego e reperimento di risorse finanziarie.

In tale prospettiva dovranno infine essere considerati tutti i processi di ampliamento della compagine sociale, spesso frenati dalla ben nota ritrosia delle imprese familiari al mutamento degli assetti proprietari.

La lezione della grande crisi insegna, tra l’altro, che solo le aziende più capitalizzate sono riuscite a sopravvivere, mentre l’eccesso di debito ha condotto, purtroppo, alla crescita degli NPL bancari e ai problemi che tuttora stiamo scontando.