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Bcc e Vigilanza

Gli autorevoli Colleghi Capriglione e Sepe, nel contributo su “Il Sole 24 ore” di venerdì 19 novembre,  ribadendo peraltro tesi già più volte esposte, plaudono ad un “accoglimento delle istanze delle Bcc per la ridefinizione della Legge n.49 del 2016”, tramite l’introduzione dello strumento di un nuovo modello organizzativo (“l’aggregazione bancaria cooperativa”) per la gestione di IPS, ovvero sistemi di tutela istituzionale.
Gli Illustri Autori ritengono, come più volte ripetuto in analoghi articoli, che la proposta presentata dall’On. Turco consenta –finalmente– di superare le “criticità rinvenienti dalla classificazione delle Bcc come banche significant“.
In particolare, l’articolo citato prende esplicitamente posizione contro quella che viene definita “eccessiva estensione dei poteri della capogruppo”, realizzata mediante il contratto di coesione previsto all’art.37 del TUB e che gli Autori sostengono essere causa di privazione dell’autonomia gestionale delle Bcc che, viceversa, con il modello IPS tornerebbero ad essere considerate less significant e dunque “sottratte” alla Vigilanza diretta della BCE, con tutto quello che ne deriva, ovvero l’assoggettamento alla Vigilanza Ispettiva di Bankitalia.
Nel contributo degli Autori, con non celato fastidio, viene altresì ventilata come di second best (se non come vero e proprio worst case) l’ipotesi che il modello IPS consenta comportamenti all’Ente gestore sostanzialmente equiparabili a quelli delle attuali Capogruppo. Il contesto sarebbe dunque “gattopardesco”, poiché all’apparenza tutto cambierebbe per non cambiare nulla, salvo la possibile way out della trasformazione in SPA per le Bcc che recedono o vengono escluse da un Gruppo Bancario Cooperativo.
Chi scrive si ritiene un modesto artigiano della tecnica bancaria e della valutazione del merito di credito: nonostante questo trovo difficile convenire con i contenuti e con il tono dell’articolo, che si augura, de facto, una vigilanza meno pervasiva proprio perché destinata a banche less significant, ovvero, in definitiva, piccole.
Che purtroppo siano state molte piccole banche a fallire, di fatto se non di nome, proprio negli anni bui della grande crisi finanziaria 2008-2018 non è, tuttavia, casuale: si trattava di banche dove a problemi di governance si univano politiche allocative e scelte di valutazione del merito di credito che in nome di un malinteso localismo anziché selezionare i migliori progetti e conseguire quell’efficienza -allocativa appunto- che tanto farebbe bene ai nostri territori, premiavano la conoscenza “storica”, l’appartenenza o determinate scelte (p.e. i ben noti, numerosi e inutili investimenti di natura immobiliare) a prescindere dal merito.
Il “fallimento” sostanziale di tante piccole banche, oltre a essere testimoniato dall’imponente processo di consolidamento che investe non solo il sistema bancario e finanziario, ma tutta l’economia, non risiede nella dimensione in sé stessa: vi sono numerose piccole banche che hanno saputo gestire e misurare correttamente il rischio di credito nel corso di questi anni, guadagnandosi sul campo quell’autonomia e quell’indipendenza che Capriglione e Sepe vorrebbero messa in discussione dall’appartenenza a un Gruppo.
Da soli o dentro un gruppo, tuttavia, ci si deve comunque confrontare con regole, gli Orientamenti EBA, che impongono, su un piano di parità inevitabilmente livellato per tutte le banche europee, di privilegiare i flussi reddituali alle garanzie, prassi viceversa assai presente all’interno di molte Bcc (da ultimo anche mediante l’intervento del Fondo Centrale di Garanzia), di saper valutare in una prospettiva forward looking (e non backward looking) la posizione finanziaria di imprese che saranno direttamente o indirettamente chiamate a partecipare al PNRR; trovo difficile immaginare che sia proprio la Banca d’Italia ad attenuare quei criteri, le famose “metriche”, che, all’interno degli Orientamenti EBA, indicano la strada maestra per la valutazione del merito di credito, ovvero uno dei temi più critici proprio per le Bcc e non solo.  Il tema non può essere, neppure lontanamente, quello che lega una maggiore autonomia a una vigilanza meno intensa e credo che questo non sia il pensiero di Capriglione e Sepe, anche se è inutile negare che da più parti l’idea del Gruppo sia accettata malvolentieri, proprio in fase di recepimento del contenuto degli Orientamenti in parola.
Ritengo piuttosto che sia opportuno rafforzare la capacità dei Gruppi stessi di confrontarsi con i migliori competitor del settore (Intesa, per esempio, o Illimity Bank), consapevoli che le specificità dell’essere Bcc non derivano dall’essere piccole, ma dall’aver saputo trarre dalla dimensione, in sede locale, quel vantaggio informativo che i tempi attuali vogliono, inevitabilmente, declinato in modo diverso. In definitiva, ritengo che la riforma attuata dalla legge n.49 del 2016 rappresenti più che un vincolo, una vera e propria occasione, per servire, al meglio, proprio quei territori da cui le Bcc sono nate: occasione, quest’ultima, che solo una vera e propria cultura della cooperazione “orizzontale” può riuscire pienamente a sfruttare.
A cura del Prof. Dott. Alessandro Berti