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Vantaggi e utilità del benchmark aziendale

Il benchmark aziendale applicato alle imprese commerciali dovrebbe servire anzitutto a conoscere meglio i punti di forza e di debolezza della propria realtà attraverso un confronto mirato con i propri competitor che consenta di paragonare le proprie performance con quelle delle migliori (o ritenute tali) aziende del settore.

L’altra grande finalità dell’attività di benchmarking consiste nel rimettere al centro l’idea stessa di impresa sulla quale si è finora basato il proprio lavoro, allo scopo di percepire meglio l’adeguatezza del modello di business adottato, le eventuali criticità e i necessari cambiamenti da considerare.

Tali obiettivi diventano ancora più stringenti se si osserva quanto la rivoluzione digitale stia mettendo in discussione i modelli di business del settore che si ritenevano assodati, richiedendo approfondimenti e discussioni atti a comprendere come consolidare e sviluppare il proprio lavoro. Ad esempio la stessa GDO, che aveva messo in crisi molti commercianti al dettaglio, ora si trova al centro della battaglia competitiva che le grandi aziende “web based” hanno ingaggiato.

Il benchmark aziendale non può e non deve servire soltanto a mostrare i muscoli della propria impresa o invidiare quelli altrui, ma deve condurre a un ripensamento della “business formula”, evitando di considerare corretto quanto si è fatto finora, senza ombra di dubbio.

L’adozione di un modello di benchmark dovrebbe essere finalizzata a evitare la banalità che spesso uccide la creatività, l’innovazione e il sapersi mettere in discussione.

La ricerca di alcuni dati spesso ritenuti rilevanti (per esempio nel settore manifatturiero la quota di export sul totale delle vendite) potrebbe essere del tutto fuorviante, nel confronto con altre imprese dello stesso settore, se non si prende in considerazione anche il primo margine, il Mol e il risultato operativo in rapporto alle vendite.

Nel settore commerciale il fatturato va paragonato con i metri quadri di superficie espositiva, con la pedonabilità dei punti vendita considerati e con l’incidenza del costo del lavoro. Allo stesso modo la crescita delle vendite non dovrebbe essere valutata su base annua ma in termini di CAGR, ovvero di tasso medio annuo di crescita in un arco di tempo ampio.

Il benchmark aziendale e la gestione delle scorte


Il tipo di trasformazione operata dal settore commerciale non è di tipo fisico come nella manifattura, ma riguarda la disponibilità della merce in un certo punto vendita: richiede di verificare il tasso di rigiro delle scorte in relazione alla merceologia e alla pervasività o meno di internet nel settore considerato.

Una delle più grandi catene di abbigliamento europee manifesta un tasso di rigiro delle scorte settimanale, fino a 52 volte all’anno, mentre alcune grandi griffe quotate del settore moda faticano a volte ad arrivare a due volte l’anno. Un tasso di rigiro così penalizzante potrebbe essere accettabile qualora si parli di imprese che godono di margini molto elevati e che possono assorbire l’effetto spugna del capitale circolante netto operativo mediante la ricchezza prodotta dalla gestione a livello di Ebitda.

La gestione delle scorte, unitamente agli acquisti, rappresenta un aspetto cruciale della valutazione dei punti di forza e di debolezza delle imprese commerciali: i cosiddetti input iniziali (rimanenze iniziali più acquisti) in rapporto al fatturato indicano quanto importanti siano stati i livelli di consumo delle merci, resi necessari dalla realizzazione del volume di vendite. Più elevato sarà tale livello di input iniziali e maggiormente l’impresa dovrà interrogarsi sia sulla propria marginalità, sia sulla propria capacità di far ruotare opportunamente il magazzino.

Analisi del benchmark: punti di forza e debolezza


Tra i punti di forza e di debolezza offerti dall’analisi di benchmarking risulta senza dubbio di grande utilità la valutazione della consistenza del margine commerciale lordo, ovvero la differenza tra vendite e costo del venduto: acquisti, più rimanenze iniziali, meno rimanenze finali. Questo margine infatti, nell’analisi di imprese operanti nel settore della distribuzione, influenza inevitabilmente tutti gli altri mentre le altre voci, come costo del lavoro, ammortamenti ecc…, dovrebbero essere poco più che residuali.

Il benchmark aziendale riguarda anche l’incidenza delle voci relative ai premi dei fornitori, rispetto alle quali vale la pena domandarsi se siano da inserire più correttamente negli altri proventi (e comunque come voce di ricavo a sé stante) o, al contrario, se debbano essere portate in diretta diminuzione dei costi per acquisto.

Dato che le aziende commerciali sono caratterizzate quasi unicamente da costi fissi, diventa pratica fondamentale analizzare e valutare l’incidenza del costo del lavoro, la cui consistenza in rapporto alle vendite risulta essere un fattore di maggior rilievo rispetto ai grandi competitor digitali.

Un buon benchmark in aggiunta analizza anche gli eventuali oneri finanziari, frutto di scelte di indebitamento che nel commercio devono sempre essere considerate discutibili, alla luce del ciclo tecnico-economico-monetario (spesso favorevole alla generazione di cassa). In altre parole l’indebitamento finanziario deve essere paragonato in relazione al capitale investito e al fatturato che esso è in grado di generare.