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Ci sono uno svizzero, un tedesco e un americano…

anzi, per le verità di americani ce ne sarebbero più di uno. Ma lo svizzero, dei tre, è quello, come si suol dire, messo un po’ come “il porco a Natale”.

Riepilogando, anzi, che fa Bocconi, Recap: fallisce, ma viene salvata dal Tesoro USA, Silicon Valley Bank, la c.d. banca delle start-up, sul cui discutibile modello di business abbiamo già intrattenuto i nostri piccoli lettori.

Dopo qualche giorno, con i giornalisti che si affannano a dire che c’era “sentore sui mercati” va in crisi Crédit Suisse, non proprio una banca regionale, e tutti a cercare chi l’aveva già detto. Per la cronaca, nessuno ha ancora capito perché questi simpatici montanari perdano miliardi di franchi e non da ieri.

Manca il tedesco: facile, lo sanno persino i miei studenti. Deutsche Bank.

Ai miei studenti e non solo, ho spesso suggerito di andare a vedere, a New York, il grattacielo sede di DB negli States. Basterebbe guardare quello (io l’ho visto nel 2011) per capire che c’è qualcosa che non va in quella banca.

Solo a nominare Nouriel Roubini (che ci ricorda che un orologio rotto almeno due volte al giorno segna l’ora esatta) ci sarebbe di che compiere gesti apotropaici, se poi apprendiamo che c’era un giapponese che aveva previsto oltre a questo, anche il default di Lehman Brothers, ovvero Robert Kiyosaki[1], non resta che affidarsi alla saggezza dei padri latini: grattatio pallorum omnia mala fugat.

Si potrebbe andare avanti, ma ci fermiamo qua. A dispetto di ogni velleità à la Trump o à la Milton Friedman, sfido qualunque politico a dirmi che le banche possono essere lasciate fallire e che il mercato faccia il suo corso, perché chiunque lo dicesse convintamente si è dimenticato la crisi del ’29. Dunque, il ben noto aforisma bancario too big to fail” a quanto pare è vivo e lotta con noi, nonostante più volte si sia detto che i salvataggi bancari sono causa di moral hazard, non devono gravare sulle spalle del contribuente etc etc…

Il politico ha le sue colpe, perché detta le regole e le modula a seconda delle convenienze (la riduzione dei requisiti patrimoniali per le banche USA è stata votata, durante la Presidenza Trump, da democratici e repubblicani in maniera bipartisan), ma le autorità che vigilano sui mercati e che, come spesso si ripete, fungono da consulente ed advisor per chi governa, hanno le loro, perché non si sono accorte di nulla.

In altre parole, per l’ennesima volta, qualcosa non ha funzionato nel meccanismo della Vigilanza, sia in quello della FED, sia in quello della Banca Nazionale elvetica.

Per non annoiare nessuno, lascio qualche domanda: chi controlla i controllori? E chi è stato votato quanto è sensibile al fascino del denaro e del potere che esso comporta?

Come mi ha insegnato qualcuno, il potere di concedere denaro è un potere immenso, il cui esercizio può avere conseguenze devastanti. Se non viene esercitato con trasparenza, i danni al sistema economico possono essere incalcolabili: le regole non bastano, la questione evidentemente è culturale, e dunque pre-politica.

Diversamente, parlare di ESG e di sostenibilità, senza una reale democrazia economica e senza coinvolgere l’economia civile, rimarrà, per quanto bello, un vuoto esercizio retorico.

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[1] Per la cronaca, il Giappone, in deflazione perenne, non è che sia messo meglio: le banche giapponesi, che nessuno si sogna di fare fallire, hanno in pancia mutui garantiti da immobili i cui prezzi (vedi Tokio) sono al di là del bene e del male.