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Davvero non esiste più il premio al rischio?

“La formula che calcola il rendimento atteso delle azioni quotate a Wall Street restituisce un valore del 5,3%.” È lo stesso tasso offerto dalla liquidità e dai bond societari a basso rischio” Così Vito Lops sul 24ore Plus. Quindi un bel salto all’indietro, ai tempi di Keynes, quando l’alternativa era tra detenere obbligazioni e liquidità: e, si badi, obbligazioni a tasso fisso, quelle a tasso variabile arrivano nel 1967 quando cominciamo a importare petrolio a caro prezzo.

La coincidenza appare assai casuale, anche se -lo sa bene chi ha studiato finanza aziendale- il tentativo di approccio alla valutazione dei titoli azionari sconta sempre un po’ di strumentazione “prestata”, alla bisogna, dall’armamentario teorico in materia di titoli obbligazionari. Immaginare che investire in titoli obbligazionari a basso rischio sia come investire in azioni pare davvero un artificio giornalistico, rammentando, peraltro, che in più momenti storici, il dividend yield è stato più elevato dei rendimenti delle obbligazioni.

Mettendoci nei panni del piccolo e medio imprenditore italiano, panni in verità non proprio comodi in questo momento storico, l’idea di tirare fuori quattrini da mettere in azienda appare ancora lontana molte miglia da una visione “normale” della gestione finanziaria, se è vero che il 60% delle somme erogate con le garanzie pubbliche, furoreggianti negli ultimi anni, sono finite nei conti correnti e hanno semplicemente rimpinguato le riserve di liquidità interne delle aziende. In altre parole, in ossequio all’ordine di preferenze “à la Myers”, sempre meglio i quattrini degli altri.

La breve lezione che traiamo da quanto riportato consiste nel fatto che cultura ed educazione finanziaria non sono solo un tema per i risparmiatori ma, come evidenziato dalle risposte del questionario fornite dagli affezionati lettori di questa newsletter, riguardano gestori e manager di imprese e, probabilmente, anche dei loro principali stakeholder finanziari, ovvero le banche. Uno dei temi più “caldi” che gli Orientamenti EBA-LOM pongono agli operatori è, infatti, quello del limite all’indebitamento delle imprese, non più fissato indefinitamente in un punto a destra della curva della struttura finanziaria e del costo medio ponderato del capitale di Modigliani e Miller, ma solidamente ancorato alla questione della sostenibilità, ovvero ai due indicatori ben noti, il DSCR e la posizione finanziaria netta sull’Ebitda.

Infine: nel Paese più solidamente “risparmioso” di tutto l’Occidente, non dovrebbe essere difficile, come dicevano gli antichi Maestri, saldare virtuosamente il circuito tra risparmio e investimenti, generando un’efficiente allocazione delle risorse. Ma il capitale di rischio, prima ancora che una somma di denaro, è una cultura ed è una visione, come negli USA o in UK. E noi ne siamo ancora lontani, pericolosamente, se si pensa a quanto contenuto negli Orientamenti EBA.

Buon lavoro a tutti i capitalisti!