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L’IRI è vivo e lotta con noi.

Alla fine, l’economia è come la moda, o come il maiale: non si butta via niente. L’eterno ritorno dell’uguale. Ciò che è buono per la FIAT è buono anche per il Paese e via discorrendo. Ora, è vero che siamo boomer incorreggibili, e d’altronde che altro potremmo essere?, ma tutto quanto sta accadendo nel pianeta Stellantis ha un certo sapore di déjà vu, di cose già vissute e ben note.

Ricordo sempre ai miei giovani studenti universitari che Giovanni Agnelli, nonno del più noto Avvocato d’Italia, senatore del Regno e a capo della Fiat, non ebbe bisogno dell’IRI. La Balilla la producevano a Torino e quando intervenne la grande crisi del 1929 la Fiat non ne fu toccata che marginalmente. Non andò esattamente così qualche anno dopo, diciamo dal 1969 in poi, fino alla guerra del Kippur nel 1973 e al balzo del barile di petrolio da 2$ a 40$.  Da allora l’Avvocato Agnelli non mancò mai di sottolineare il legame a doppio filo tra il nostro Paese e il suo impero, dando manforte alle malelingue che dicevano che per Agnelli e i “padroni” i profitti erano privatizzati e le perdite messe a carico dell’Erario. Per chi ha un po’ di memoria storica, il TG1 apriva con una panoramica sulle auto invendute sui piazzali di Mirafiori e sulla crisi dell’auto, con un sottinteso, neppure troppo velato: non possiamo lasciare che tutto vada in malora, lo Stato deve intervenire. E a vario titolo lo ha fatto, non serve rivangare.

Conosciamo le vicissitudini dell’azionariato Fiat, composto dal nocciolo duro della famiglia di Villar Perosa e con alterna importanza da De Benedetti, Gheddafi, Mediobanca. A proposito della quale è noto che Cuccia mandò Romiti a Torino dicendo all’Avvocato: “Non ci capisco nulla nei tuoi conti, ti mando uno bravo (sic)”.

Ora dopo aver quotato in Borsa la Juve, aver eliminato la Danone dagli investimenti strategici, averci rimesso dentro i giornali (dopo il Corriere, lasciato a Cairo, Repubblica e La Stampa), spostato la sede in Olanda, lasciato giocare Lapo con gli occhiali, partecipato alla nascita di Stellantis, viene fuori che il gruppo porterà via la produzione dagli stabilimenti italiani, a meno che lo Stato non entri nel capitale e non rilasci adeguati ammontari di incentivi per l’auto elettrica (Tavares, in foto, dixit).

Lo Stato imprenditore, ne sentivamo la mancanza (?). Ce lo eravamo scordati. Pensavamo di essercene liberati con la chiusura dell’IRI effettuata da Romano Prodi, invece no, lo Stato potrebbe mettersi a fare autovetture. Dice, “ma lo fanno anche i Francesi!”, sono dentro Stellantis; certo che lo fanno anche loro, non hanno mai smesso di essere centralisti, dalla monarchia ghigliottinata all’Impero, la carica più importante, a parte quelle parigine, rimane quella del Prefetto. Il rappresentante dello Stato: che tirerà fuori i soldi anche per ognuno di noi.