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Come essere certi che il nuovo investimento crei redditività?

La domanda sul rischio d’impresa e sulla potenziale redditività a esso connessa ci viene spesso posta con l’idea che si possa evitare il rischio stesso. Al contrario si tratta una conseguenza inevitabile dell’incertezza, stato di natura ineliminabile.

Se da un certo punto di vista è comprensibile voler ridurre il rischio, ovvero la conseguenza economica dell’incertezza, è anche lecito domandarsi che razza di imprenditore sia quello che non vuole neppure assumerselo (o addirittura azzerarlo).

Forse una riflessione andrebbe fatta a livello personale, chiedendosi quale sia la propria vocazione imprenditoriale e se sia correttamente declinata. Ma ciò non attiene al nostro discorso.

Il problema del rischio e della sua gestione diventa ancora più complicato se si riflette sui singoli investimenti invece che al complesso dell’attività d’impresa, specie se di ammontare ingente e di rilievo strategico. Il tema della riduzione del rischio può essere posto, quella della sua totale eliminazione no: si tratta solo di capire “come”.

Prima della redditività: analisi dei costi e ricavi incrementali


Un semplice ragionamento economico può aiutare ad addentrarsi nella tematica attraverso un metodo che pone anzitutto al centro dell’analisi la domanda: “serve? E se sì, a cosa?”. La questione posta è alla base di ogni scelta di capital allocation (o selezione degli investimenti) che viene effettuato dalle buone prassi di finanza aziendale e parte dall’analisi dei costi e ricavi incrementali, conseguenza dell’investimento stesso.

Dapprima occorre pertanto ragionare sui costi effettivi che la scelta di investire comporta, a partire dal preventivo di spesa (un nuovo e meraviglioso punto vendita così come l’abbandono di un vecchio) che deve invariabilmente tenere conto dei possibili imprevisti come del momento in cui il nuovo investimento diverrà effettivamente utile, entrando a fare parte del capitale di funzionamento (ovvero dell’insieme di beni destinati a generare fatturato, reddito, ricchezza e liquidità).

Soltanto da quel momento specifico è possibile considerare e stimare correttamente il sostenimento dei costi e il conseguimento dei ricavi, tenendo sempre presente il fatto che i primi sono anticipati rispetto ai secondi.

L’ammontare del nuovo investimento rappresenta comunque (con il segno meno, specifichiamo) il punto di partenza per l’analisi, poiché è a tale cifra che si deve fare riferimento per calcolare il tempo di recupero o payback period reso possibile dalla differenza tra maggiori ricavi e maggiori costi.

L’importanza del fattore temporale


Alla luce di questa analisi è opportuno dunque parlare di un vero e proprio conto economico di progetto, utile a registrare con accuratezza e prudenza le stime (o congetture) relative alle maggiori spese e ai maggiori introiti legati all’investimento. Solo da una valutazione attenta della differenza tra ricavi e costi incrementali si può essere ragionevolmente sicuri che il nuovo investimento porterà redditività ed è bene, al riguardo, annotare il fattore tempo.

Infatti la convenienza del nuovo investimento deve necessariamente essere ragguagliata a un lasso di tempo che non può essere brevissimo (in tal caso si parlerebbe di speculazione o di scorciatoia per arricchirsi) e allo stesso modo non può neppure superare limiti temporali tali da rendere per l’ennesima volta attuale la citazione di John Maynard Keynes: “In the long run we are all dead”, tradotto “nel lungo periodo siamo tutti morti”.

L’andare oltre il lasso temporale convenzionalmente preso a riferimento per definire il medio termine, ovvero 5 anni, incrementa il rischio di perdita e rende la previsione più sfumata, incerta e imprecisa poiché sempre più lontana nel tempo. I flussi di cassa attesi, perché di questi si deve parlare nel ragionare su nuovi investimenti, dovrebbero essere sufficientemente ravvicinati nel tempo al momento di effettuazione dell’investimento, evitando in tal modo di indebolire fortemente o azzerare la sua redditività a causa della svalutazione di importi distanti fra loro.

Un investimento adeguato alla gestione economica, ovvero conveniente e fattibile, deve generare flussi di cassa sperabilmente ravvicinati nel tempo rispetto al momento di effettuazione dell’investimento stesso, poiché viceversa si correrebbe il rischio di fare un’operazione in perdita.

L’investimento deve essere utile per l’impresa


Naturalmente vi sono investimenti che assomigliano molto a rendite perpetue, ma sono assai rari e costosi. Si pensi ad esempio alle centrali idroelettriche o alle concessioni autostradali, tanto cari quanto sostanzialmente privi di rischio, al netto di catastrofi naturali o mezzi alternativi di trasporto. Un altro esempio viene dal fotovoltaico, la cui convenienza, ritenuta certa in quanto le entrate e i contributi erano di fonte pubblica, è stata nel tempo ridotta e resa parzialmente obsoleta dalla tecnologia.

Un investimento deve anzitutto essere utile per l’impresa, ovvero arricchirne il valore in termini di capitale di funzionamento o di enterprise value. Tutto ciò è reso possibile generando ricavi incrementali superiori ai nuovi costi legati all’investimento e solo tale circostanza potrà dire, in un lasso di tempo relativamente breve (non più di 5 anni), se la scelta imprenditoriale abbia contribuito a ridurre il complessivo rischio gestionale.

Diversamente, come nel caso di tanti investimenti immobiliari di cui si è purtroppo arricchita la recente storia economica d’Italia, ci troveremo di fronte a scelte che non solo non erano prive di rischio ma che lo hanno aggravato, appesantendo di debiti l’azienda invece di creare redditività.