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Su cosa impatta veramente la guerra: la gestione aziendale e il mondo intorno a noi

Parlare di economia aziendale o di rapporti banca-impresa mentre il mondo resta dolorosamente appeso a tenui speranze e agli uomini di buona volontà, pare decisamente fuori luogo, come se tutto ciò che abbia a che fare con inflazione, stag-flazione, aumento dei prezzi delle materie prime e dis-ruption delle catene del valore non fosse fortemente collegato anche alla guerra.

Non ci facciamo mancare, peraltro, l’ennesima proroga delle moratorie, nonché l’estensione della garanzia del Fondo Centrale di Garanzia a prestiti aventi durate ben superiori alle attuali; quasi non si vede a che serva analizzare il merito di credito, nonché documentarne l’esistenza, tanto poi alla fine ciò che non è garantito ex-novo (e non può essere certamente EBA compliant) sarà prorogato in moratoria (e dovrebbe essere monitorato, per individuare un possibile UTP, secondo quanto EBA disse il lontano 2 aprile 2020), “sistemando” gli Orientamenti EBA in tema di LOM sia prima, sia dopo.

Insomma, non disturbiamo il manovratore distraendolo con questioni di vile denaro, tanto più che le banche stesse, in questo momento, stanno vivendo un momento di rialzo dei prezzi (i tassi d’interesse) che finalmente fa volare il margine di interesse.

Nel frattempo ci sarebbero almeno tre margini su cui soffermarsi nell’esaminare l’andamento della gestione di qualunque azienda:

  1. il primo margine (e le sue determinanti, ovvero il costo del venduto, ovvero costi di acquisto merci, materie prime semilavorati e relative rimanenze, iniziali e finali) per gli ovvi riflessi degli accadimenti di questi periodi;
  2. il margine operativo lordo o Ebitda, perché indica la capacità del valore aggiunto di “coprire” adeguatamente il costo del lavoro e, di riflesso, del primo margine, di assorbire coerentemente gli aumenti di prezzo delle materie prime e le loro ricadute sui prezzi di vendita;
  3. il risultato operativo o Ebit, sia per la sua consistenza in quanto tale rispetto agli anni più recenti, 2020 incluso, sia per la sua capacità di coprire adeguatamente gli oneri finanziari, rammentando che l’ICR dovrebbe pur sempre presentare un valore pari o superiore a 2.

Il tema, riguarda, con tutta evidenza, sia la situazione contabile dell’esercizio in corso, sia qualunque proiezione economico-finanziaria già approvata o da approvare relativamente alla pianificazione in atto, condivisa o no che sia con le banche (che, come abbiamo già visto, sul punto non sono particolarmente “calde”), dal momento che la questione riguarda anzitutto l’impresa e il contesto del tutto mutato in cui si trova a operare.

A meno che business as usual non abbia assunto il significato di “far finta di niente”.