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La valutazione prospettica delle scelte strategiche: debiti o mezzi propri?

Nell’ambito della valutazione prospettica delle scelte strategiche un grande rilievo assumono le scelte relative alla copertura dei fabbisogni finanziari che andranno a formarsi. La struttura patrimoniale di arrivo è solo l’ultimo (ma non per importanza) degli aspetti che conseguono alla redazione dei bilanci pro-forma all’interno di un corretto processo di programmazione economico-finanziaria.

Una volta individuate le strade per applicare le scelte decise a livello di piano strategico, diventa necessario valutare la sostenibilità del fabbisogno finanziario prospettico da parte di soci, azionisti e proprietari da una parte, banche e finanziatori dall’altra, per coprire l’eventuale deficit di liquidità, al netto dell’autofinanziamento, degli eventuali dividendi e dei probabili nuovi investimenti.

Se pure un autofinanziamento negativo può essere fisiologico ed è normale che si verifichi all’inizio di nuovi investimenti volti alla crescita e allo sviluppo, poiché la formula competitiva si deve ancora assestare e il capitale circolante netto operativo assorbe liquidità,in quanto legato al fatturato, non può tuttavia essere accettato all’interno di un corretto processo di programmazione economico-finanziaria che tale situazione perduri troppo a lungo o che coincida con il verificarsi di perdite d’esercizio.

In tal caso il fatto stesso che vi siano perdite, e quindi l’azienda (sia pure temporaneamente) distrugga ricchezza, indica che la scelta migliore, in quanto la più saggia e “leggera” per il conto economico aziendale, è quella che prevede il ricorso, prevalente o integrale, ai mezzi propri.

La capitalizzazione nella valutazione prospettica delle scelte strategiche


Non è facile parlare di capitalizzazione delle imprese laddove, come avviene nel nostro Paese, la questione è prevalentemente culturale poiché l’applicazione un po’ bovina del teorema di Modigliani e Miller ha portato a preferire sempre e comunque il debito, a prescindere dalla sua sostenibilità e in nome dell’utilizzo del tax-shield (o scudo fiscale) che abbassa di fatto il costo dei finanziamenti onerosi.

Tuttavia sono proprio i due grandi economisti americani (il cui contributo, è bene ricordarlo, data a ben 60 anni fa e dunque ha pienamente influenzato le scelte degli imprenditori italiani durante il periodo del miracolo economico) a ricordare un aspetto molto semplice ma fondamentale e decisivo per le scelta della struttura finanziaria ideala: un’impresa vale indipendentemente da come si finanzia.

Qualunque attività di valutazione prospettica delle scelte strategiche non può pertanto perdere di vista la questione fondamentale: ovvero che il reddito è la grandezza più importante e la sua mancanza non può essere tollerata se non in via del tutto temporanea.

Se infatti il risultato operativo derivante dai calcoli svolti ai fini della programmazione economico-finanziaria fosse negativo, tale segno non potrebbe essere eliminato neppure immettendo capitale di rischio sufficiente a chiudere tutti i debiti, poiché le ragioni di un RO negativo non possono che risiedere nel conto economico.

Verso debiti o mezzi propri per creare valore
Secondo quanto scritto sopra, la valutazione prospettica delle scelte strategiche non potrà che indirizzare a scelte dove la preferenza per debiti o mezzi propri sia fatta comunque a fronte della creazione di valore per tutti gli stakeholder coinvolti: soci, azionisti, banche e altri finanziatori.

Premesso che la disponibilità delle banche (ma anche degli azionisti) a sostenere i fabbisogni derivanti dall’attuazione del piano strategico dovrà essere verificata alla luce di un piano economico-finanziario serio e credibile, nonché dell’attuale situazione patrimoniale aziendale (facilmente rintracciabile negli indicatori debiti finanziari/Ebitda e debiti finanziari/mezzi propri), quanto emerge dovrà contenere due requisiti fondamentali:

  • Se l’azienda è già indebitata, il mantenimento e il rafforzamento prospettico della capacità di rimborso.
  • Una remunerazione comunque adeguata del capitale di rischio.

Mentre la prima condizione dovrebbe essere la norma, per un’azienda che ricorra stabilmente al capitale di debito, la seconda è talvolta trascurata, essendo spesso confusi i compensi direzionali con i dividendi o attraverso altre forme, che sono fonte di confusione e di errori. Il costo del capitale proprio è molto più elevato di quello preso a prestito, poiché la sua remunerazione deve tenere conto del premio al rischio e di una condizione strutturalmente diversa da quella delle banche, semplici creditrici.

La differente percezione di rischio


A prescindere da considerazioni di natura fiscale, spesso eccessivamente presenti nella prassi e nella cultura imprenditoriale e professionale italiana, la scelta per i mezzi propri sarà tanto più obbligata quanto maggiore sarà il rischio, attuale e prospettico, collegato alla realizzazione del piano strategico: proprio per il nome che lo contraddistingue, il capitale di rischio dovrebbe servire a ridurre ed assorbire i rischi operativi tipici dell’impresa.

A fronte di minori rischi e di una redditività storica e prospettica consolidata, sarà allora maggiore la possibilità di combinare mezzi propri e mezzi di terzi a sostegno del processo di sviluppo aziendale.

Come insegnano le storie aziendali di tante società quotate, il capitale di rischio e i debiti finanziari non sono alternativi e possono ben coesistere, alla luce di una semplice quanto banale considerazione: una società ben capitalizzata può con relativa facilità ricorrere a nuovi ulteriori debiti finanziari, mentre una società assai indebitata troverà difficile anche ricorrere a nuovi fonti fresche di capitale a causa della percezione di rischio che deriverà dalla sua situazione.