E così, in quel grande gioco di potere che è l’assetto delle principali banche italiane,…
Il tuo lavoro amici non troverà mai, perché non sai soffrire.
Milano sono tutto tuo, mi capita spesso di pensarlo e di cantarlo. Ma quel verso di quella canzone di Alberto Fortis che trovate in fondo, quello che dà il titolo all’ultima newsletter di ottobre, quello mi è rimasto sempre impresso, perché l’ho sempre sentito profondamente vero, profondamente mio, fino in fondo: ne ho fatto esperienza.
Non è una lezione sul “dover fare la gavetta” e nemmeno sul salario minimo, ci sono soggetti ben più titolati di me sul tema, anche se lo capirebbe pure un marziano che gli stipendi in Italia sono bassi; e a vedere certe dichiarazioni dei redditi ti chiedi come certa gente arrivi a fine mese (la domanda è per metà retorica e per metà no, scegliete voi quella che vi piace di più…).
Ammesso che in una newsletter si voglia non insegnare, ma condividere idee e riflessioni, quella che chiude ottobre è sul senso del lavoro, sul significato di tenerci a quel che fai: su quella frase di Mons. Giussani che qualche tempo fa era in una di queste newsletter, la “lealtà con la tua opera concreta”. Perché il tema non smette mai di interrogarmi, tanto più dopo aver rivisto due laureati magna cum laude, uno soddisfatto del suo lavoro e l’altro no. Uno che ha fatto e che farebbe migliaia di cose contemporaneamente, se solo potesse, e l’altro che è “rinchiuso” nella stanza di uno studio commerciale dove gli fanno fare solo una cosa: sempre e solo quella, ormai da due anni e dove sa che non crescerà mai. La persona insoddisfatta si era già sentito dire da chi scrive “non è il lavoro per te”; ma le prediche sono fatte per non essere ascoltate e poi l’educatore non è colui che ti sta davanti impendendo alle spine di graffiarti o avvisandoti delle buche. L’educatore è quello che sta dietro per sorreggerti, perché tu impari a correggerti e a soffrire, che non vuol dire stare male e basta: vuol dire fare la fatica che ogni cosa con cui sei impegnato lealmente richiede, perché è l’opera delle tue mani. Essere leali con la tua opera concreta è anche capire che la tua opera non ti basta e che forse, anche se riesci a cambiarla, non ti basterà mai, perché siamo fatti per l’infinito: e, anche (capire) che non si deve mai smettere di desiderare. Gli ho chiesto “perché sei venuto da me?” e mi ha risposto dicendomi che “quella volta aveva ragione lei” e per farsi aiutare. Per adesso è come se avesse davanti il vuoto, ma la domanda sul senso lo tormenta: e non gli basta più che sia a 5 minuti da casa, che sia in regola, etc… Poi naturalmente non vuole andare lontano dalla famiglia, dalla morosa, dagli amici, e ha già detto no a due proposte che gli ho fatto solo perché erano lontane; ma sa che non è contento. E capisco che non smetterà di tormentarsi, perché è giusto così, e io lo aspetterò, per riparlarne insieme.
Perché non puoi smettere di desiderare: perché fino a che non si è fatto tutto, non si è fatto niente.
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