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Hard & soft (informations).

E così accade che (vedi Corriere della Sera di qualche giorno fa) Unicredit viene condannata in Cassazione per avere fatto un mutuo garantito da ipoteca su immobili ad un parente di Totò Riina. A prescindere dal fatto che Unicredit afferma che per statuto o per linee aziendali interne difende le proprie ragioni creditorie fino all’ultimo grado di giudizio, difendendo così il proprio operato anche in modo palesemente inutile, è interessante conoscere come si sia arrivati a una situazione nella quale il creditore ha operato, anche secondo i giudici della Suprema Corte, con negligenza.

Il mutuo venne concesso molti anni fa ad un parente del “capo dei capi” a valere su un immobile in seguito assoggettato a sequestro e a successiva confisca definitiva; al momento di fare valere le proprie ragioni creditorie la banca si vide respingere le stesse, con la motivazione che l’Istituto era al corrente delle attività criminose svolte dal parente del boss (circostanza poi effettivamente provata, con conseguente condanna per associazione mafiosa del soggetto in questione) e che quindi il mutuo non avrebbe mai dovuto essere concesso.

È singolare che la banca si sia difesa, stando a quanto si legge sul Corriere.it, dapprima utilizzando le hard informations (esistenza della capacità di reddito e di rimborso, capienza delle garanzie etc…) e poi, con grande ricorso al bronzo, esibendo l’inesistenza di condanne definitive a carico del parente di Riina nonché della di lui moglie (soft informations); nel frattempo l’attività criminale del parente era divenuta da tempo notoria e questo smonta le soft informations, cosa che probabilmente ad un giudice di Cassazione di qualche anno fa sarebbe bastata.

Ma poiché i giudici cambiano e si avvicendano, vanno in pensione, e quelli nuovi hanno studiato in maniera diversa, probabilmente migliore, la Corte non si accontenta di smontare con facilità la tesi per cui la banca si era informata adeguatamente richiedendo il certificato penale e/o dei carichi pendenti; la Suprema Corte, in effetti, nell’esaminare la presunta capacità di reddito della moglie del soggetto, annota che la stessa derivava da un contratto di affitto mai registrato e per il quale non risultano versamenti di canoni che sarebbero serviti a pagare le rate di mutuo.
In altre parole, non solo non c’era capacità di reddito, ma il mutuo è stato concesso per un ammontare superiore al valore dell’immobile, al fine palese di consentire il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecita.

Ho sempre sostenuto che fare banca in determinate zone d’Italia configuri l’attività di hard banking, con tutte le conseguenze del caso, che non serve elencare.
Ma farsi sbeffeggiare così dalla Cassazione non mi pare il miglior modo per provare a diventare la prima banca del Paese.