Raramente mi sono trovato, andando con la memoria a ritroso nel tempo, nell’incertezza così pervasiva…
L’incertezza è uno stato di natura.
Una delle poche cose di cui siamo assolutamente certi e che insegniamo nei nostri corsi universitari, è che l’incertezza è uno stato di natura, ineliminabile. Il rischio, conseguenza dell’incertezza, può essere gestito, assicurato, in qualche modo coperto; ma tutto questo è costoso e, tra l’altro, bisogna fidarsi dell’assicuratore, come insegna la storia dei titoli che contenevano i tossici mutui sub-prime.
Nel frattempo, lo avrete sentito ripetere fino alla noia, “i mercati vogliono certezze!”. Per cui Trump, Nethaniau, l’Aiathollah Khamenei, Putin e compagnia cantante potrebbero anche essere accettabili se solo la piantassero di seminare incertezza per il mondo.
Mentre vi scrivo la consueta rubrica settimanale, com’è ovvio e come anche un bambino avrebbe saputo prevedere, il prezzo del petrolio sta salendo e chissà fino a dove salirà e…
Nessuno, o quasi, riflette mai su tutto questo, certamente non in ambito economico, dove qualcuno vende previsioni e altri si attende che le medesime funzionino (chi non ricorda la reprimenda lanciata contro gli economisti da Elisabetta II, Regina d’Inghilterra, per non aver saputo prevedere la grande crisi del 2008?).
Su cosa si dovrebbe riflettere? Sul fatto che se non ci fosse incertezza tutto sarebbe noiosamente predeterminato: e senza andare a sconfinare nel libero arbitrio -che già non se la passa bene di suo- non oseremmo mai provare a dire a una ragazza che ci siamo innamorati di lei e viceversa, perché sapremmo già prima che ci direbbe di no e non vorremmo rischiare un bel due di picche. Se poi ci spingessimo oltre, per esempio con un bacio, rischieremmo, oltre alla delusione, anche un bel ceffone.
Sarebbe una vita molto noiosa, difficile da sopportare: dove tu non decidi nulla, non rischi nulla, non intraprendi nulla se non quello che sai che andrà bene (potrebbe anche non andarti bene niente, Martin Lutero ti direbbe che c’est la vie). Una vita senza rischi, vissuta nella comfort zone del prevedibile, del déjà vu, dove non vale la pena neppure giocare una partita di calcio, tanto sai già chi la vince. Si darebbero i soldi solo a chi te li restituisce, non servirebbero gli uffici addetti al controllo e al credito deteriorato, tutto sarebbe incanalato, anche il lavoro in banca.
Grazie a Dio non è così e l’incertezza continua a farla da padrona nella vita di tutti noi, ci tiene vivi: nonostante Nouriel Roubini che, come un orologio rotto che segna l’ora giusta almeno due volte al giorno, lo aveva detto; nonostante la Polizia USA che, come diceva una vecchia canzone di noi boomer “vuol la sicurezza, e la sua non la mia”; nonostante che tutti quanti nel turismo paghino in nero e invece c’è qualcuno che non lo fa e non lo vuole fare, anzi; nonostante.
“Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.”
E.L.Masters, Antologia di Spoon River, George Gray (Traduzione di Fernanda Pivano)