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Hai valutato la convenienza a incrementare le vendite?

Spesso si parla della necessità per le piccole e medie imprese di perseguire un percorso di crescita poiché la dimensione piccola non aiuta a essere competitivi e un fatturato più elevato si identifica con maggiori quote di mercato, maggiore profittabilità e in generale con una valutazione positiva, a prescindere dal come si sia realizzata la crescita stessa.

La crescita sarebbe buona in se stessa se non ci si cura delle conseguenze che l’aumento del fatturato comporta, soprattutto sotto il profilo finanziario.

L’obiettivo di incrementare le vendite si accompagna inevitabilmente a scelte e decisioni di gestione tese all’ottenimento degli obiettivi desiderati attraverso maggiori spese (più acquisti, ricerca di sconti-quantità, spese per pubblicità, marketing, accordi di distribuzione, crescita degli affitti ecc.) e l’aumento del capitale investito (maggiori scorte come conseguenza dei maggiori acquisti, nel caso di imprese grossiste maggiori crediti verso la clientela, eventuali investimenti in capitale fisso ecc.).

Crescere è costoso e tale spesa deve essere correttamente misurata valutandone la sostenibilità economica.

Incrementare le vendite in modo sostenibile

Nel caso delle imprese commerciali la crescita non dovrebbe essere legata all’incremento del capitale fisso, poiché questo genere di investimento (impianti, macchinari, attrezzature, edifici ecc.) si adatta solo marginalmente alle esigenze del ciclo distributivo.

L’investimento in immobili strumentali infatti deve essere attentamente valutato in relazione alla sua sostenibilità, spesso dubbia, nonostante preconcetti aprioristicamente positivi sul tema.

Al riguardo si può sottolineare che in molte delle più grandi catene della distribuzione, food e non-food, nazionali e internazionali, la volontà di aprire nuovi punti vendita è accompagnata dalla scelta di andare in affitto e di non acquistare (nonostante il bassissimo costo del denaro e il calo dei prezzi degli immobili a uso commerciale, quale conseguenza dello scoppio della bolla immobiliare nel nostro Paese).

La crescita delle imprese commerciali, per le caratteristiche strutturali del loro fabbisogno finanziario permanente, è strettamente legata al capitale circolante netto operativo (o CCNO), ovvero a quell’aggregato contabile risultante dalla somma dei crediti verso clienti e rimanenze (il capitale circolante lordo) meno i debiti verso fornitori per merci e servizi.

Il capitale circolante netto operativo segue l’andamento delle vendite e una crescita di queste ultime dovrebbe condurre anche a un aumento dello stesso CCNO.

Per incrementare le vendite è dunque necessario procedere a maggiori acquisti, ad approvvigionare in maniera più massiccia i propri punti vendita e a concedere (in caso di commercio all’ingrosso) dilazioni di pagamento proporzionali alle maggiori vendite effettuate e a volte più che proporzionali.

Quando entra in gioco il capitale circolante netto operativo

La crescita del fatturato si traduce nella crescita del CCNO, la cui variazione in aumento genera un flusso di cassa negativo, noto come “effetto spugna”: ne derivano maggiori vendite, maggiori crediti verso la clientela (ovvero ricavi non incassati), maggiori rimanenze (costi non ancora utilizzati o “sospesi”) e maggiori acquisti che non sono necessariamente finanziati dal credito commerciale.

Spesso i processi di sviluppo delle PMI commerciali sono accompagnati da acquisti in contanti per ottenere sconti quantità e, più in generale, il credito di fornitura non riesce a coprire le esigenze finanziarie registrate a livello di capitale circolante lordo.

La crescita del circolante netto operativo, salvo che si stia ragionando di grande distribuzione organizzata (GDO caratterizzata da un CCNO strutturalmente negativo), assorbe liquidità ogni qualvolta si verifica un incremento del fatturato, circostanza che può facilmente verificarsi nel caso di PMI non attrezzate per una gestione puntuale del livello dei crediti e del magazzino, né sufficientemente forti da poter utilizzare il credito di fornitura in luogo di quello bancario.

L’innalzamento del capitale circolante netto operativo può essere bilanciato solo da un livello di margini commerciali adeguato. Ciò non è sempre possibile, soprattutto ove si stia cercando di ottenere maggiori livelli di fatturato attraverso una politica commerciale particolarmente aggressiva.

Autofinanziamento e crescita

Occorre incentrare la nostra attenzione proprio su questo punto, evitando che la crescita del fatturato si traduca in un aumento del fabbisogno finanziario e di debiti verso le banche.

L’autofinanziamento, ossia la liquidità prodotta dalla gestione corrente, si genera per effetto dell’interazione fra due diversi flussi di cassa: il reddito e il flusso di cassa, positivo o negativo, derivante dalla variazione del capitale circolante netto operativo.

Se nelle imprese commerciali al dettaglio il capitale circolante netto operativo dovrebbe essere sempre negativo o prossimo allo zero, non così accade nel caso delle imprese grossiste, il cui circolante è gonfiato dalla necessità di approvvigionare e, al contempo, di fare credito alla clientela.

Ci siamo imbattuti più volte in situazioni apparentemente molto favorevoli, dove la gestione aveva condotto a risultati certamente lusinghieri in termini di crescita dei volumi di vendita ma, contemporaneamente, anche alla crescita più che proporzionale dei debiti bancari, conseguenza dell’espansione del CCNO.

La scelta di incrementare le vendite e quindi di crescere deve basarsi su criteri di sostenibilità, riassumibili in una sorta di bilanciamento tra il peso dell’effetto spugna e il contributo positivo del reddito. Se quest’ultimo fosse modesto (come nel caso delle imprese commerciali) occorrerebbe fare grande attenzione alla crescita del circolante che potrebbe completamente vanificare il contributo alla cassa degli utili aziendali fino a renderlo negativo.

La crescita sostenibile non potrebbe che collocarsi su valori modesti, a meno che non sia possibile ricorrere ai mezzi propri o tenere sotto controllo il CCNO. Quale delle due circostanze sia più facile da rinvenire è un quesito dalla risposta facile: nessuna delle due.

Tralasciando ogni tipo di valutazione sulla convenienza a investire capitale di rischio nell’impresa commerciale, il vero punto dolente per quasi tutte le PMI è la gestione del circolante netto operativo. Solo una maggiore attenzione alle grandezze che lo compongono, magazzino e credito alla clientela da una parte, debito commerciale dall’altra, può consentire una crescita maggiormente sostenibile.