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Economia di guerra, inflazione e i conti delle imprese. Resilienza.

Per primo il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha negato che la nostra economia e quelle degli altri Paesi occidentali siano in una situazione definibile come di guerra; ritengo effettivamente che sia pur fortissimi i rincari registrati dalle materie prime anche alimentari siano riassorbibili in un arco di tempo non troppo lungo. Così come ritengo che la speculazione, come ogni volta che eccede in quello che, in fin dei conti, è il suo mestiere, ovvero ricercare extra-profitti, prima o poi debba fermarsi, se non essere fermata. Con l’inflazione ho mosso i primi passi nella vita consapevole, quella di un ragazzino che a 15 anni, nel 1973, vide il barile di petrolio passare da 2$ a 40$. Con l’inflazione mi sono destreggiato nella vita adulta, alle prese con rincari qua e là di beni, servizi, prodotti; e come me, credo che lo abbiano fatto le imprese.

Erano tempi in cui variavano i prezzi ma variavano anche i tassi di interesse, che attraverso i cambiamenti del tasso sconto Banca d’Italia faceva andare spesso molto in alto, per contrastare un’inflazione che, allora, veniva soprattutto dalla spesa pubblica.

È stata storia vecchia, storia economica, seppure recente, finché tre estati fa qualche buontempone al governo ha provato a rispolverare la lira e, verosimilmente, svalutazioni competitive ed altre amenità; non possiamo che augurarci che questa stagione sia alle nostre spalle.

Ma il tema della competitività delle imprese, del mantenimento nel tempo del loro equilibrio economico, finanziario e patrimoniale è un tema sempre presente e non possiamo affrontarlo dando per scontato che il costo del denaro rimanga invariato.

Christine Lagarde ha parlato e, pur potendolo fare “meglio” ha espresso abbastanza chiaramente un concetto, che ragionevolmente occorreva attendersi fosse prima o poi espresso: le continue immissioni di liquidità, stante anche il rialzare la testa dell’inflazione, non potranno durare all’infinito. Ergo, il costo del denaro è destinato presto o tardi a crescere nuovamente (per la gioia dei banchieri per i quali “fare banca non è più conveniente”).

La vera questione che i tempi pongono -o ri-propongono, viste molte riflessioni già fatte, in questa sede e altrove, è quella della sostenibilità del business, della validità del business model o, se si preferisce, della formula competitiva. Ci è già capitato di citare il caso delle imprese-zombie, quelle che il Gruppo dei Trenta aveva correttamente individuato come dei sostanziali “parassiti” per tutte le altre imprese, poiché si mantenevano e si mantengono grazie a tutti i provvedimenti di moratoria, di sostegno finanziario, che hanno tenuto in vita imprese decotte ma che non avevano più nulla da dire dal punto di vista economico. Quelle imprese per le quali l’Interest Coverage Ratio è ampiamente inferiore a 2, già ora.

E allora che fare, come resistere in quel modo particolare che si chiama resilienza, cioè assorbendo gli shock delle variazioni dei prezzi senza perdere di competitività? Non c’è una ricetta che vada sempre bene, che funzioni in ogni circostanza, a ognuno di noi sarà chiesto di confrontarsi con la realtà, giorno per giorno, perché tutto questo chiede di ricomporre catene del valore che si erano appena ricomposte, e dunque rapporti, relazioni, legami che non siano appena legati a un prezzo, volatile come un uccellino.

C’è da lavorare sopra e sotto la riga del risultato operativo: sopra la riga, perché pur nel mezzo della tempesta che stiamo attraversando, occorrerà cercare di fare i conti con quegli aumenti di costo che a volte possono essere solo subiti, ma in altri casi ci indicano chiaramente la strada per nuovi investimenti, volti a ricercare efficienza, diversità di processo o di prodotto; sotto la riga, perché il fabbisogno finanziario sia controllato, misurato, correttamente individuato, sostenibile.

Sostenibile: la questione, già emersa durante la pandemia, della capitalizzazione delle imprese, del capitale di rischio, assume un nuovo rilievo, molto più pressante di prima. Dobbiamo farci i conti, perché la resilienza delle nostre imprese parte di qua.

Noi ci siamo.