skip to Main Content

Come la variazione del fatturato ha effetti sulla redditività aziendale

Spesso si ritiene che i volumi delle vendite siano la cosa più importante per le imprese commerciali e che la redditività sia una conseguenza quasi necessaria dopo aver conseguito determinati livelli di fatturato.

In realtà non bisogna dimenticare che “il fatturato è vanità, l’utile è verità e la cassa è realtà”: si dovrebbe sempre avere ben presente il collegamento, inevitabilmente variabile, tra variazione del fatturato e redditività aziendale.

Poiché la formula competitiva delle imprese commerciali è relativamente semplice da comprendere, si può cadere nella tentazione di prendere facili scorciatoie dimenticando che la crescita delle vendite deve essere sempre accompagnata da un saldo presidio “reddituale”.

Il fatturato delle imprese commerciali non può essere valutato alla stessa stregua di quello delle imprese industriali o di servizi, poiché a eccezione del commercio digitale e dei canali on-line, le leve su cui si basa sono perlopiù ancorate alla presenza fisica sul territorio e ai costi che questo comporta.

Il migliore dei negozi di frutta e verdura resta, per quanto riguarda l’ammontare delle vendite, inevitabilmente confinato all’interno di un raggio corrispondente a quello entro il quale si conciliano vicinanza alla clientela, pedonabilità e presenza di altri esercizi concorrenti.

Assumere personale non serve a fare aumentare i volumi di vendita, a differenza della manifattura, dal momento che non vi è un nesso diretto tra costo del lavoro e fatturato (o valore della produzione come nel caso dell’industria).

La formula competitiva delle imprese commerciali appare perciò relativamente facile da comprendere: incentrata sul margine del venduto, rappresenta tutte le altre spese dei costi fissi o comunque discrezionali.

Si può affermare che sia sufficiente ricercare aumenti di fatturato per dare un maggior grado di copertura ai costi fissi e così incrementare la redditività e soprattutto l’Ebit.

Il legame tra costi fissi e redditività aziendale

Nella realtà affrontare il tema dello sviluppo del fatturato nelle imprese non è affatto scontato e deve giocoforza tenere presente che nel medio-lungo periodo tutti i costi sono variabili.

I costi fissi hanno un legame assai forte con la generazione del fatturato e, di conseguenza, con la redditività aziendale.

In merito a quanto detto basta riflettere su un fatto facilmente constatabile di persona nelle proprie esperienze personali. Nei grandi centri commerciali gli unici punti vendita che mantengono la propria stabilità di presenza nel tempo sono i brand storici, o le grandi catene commerciali, già presenti anche in altre località e in altri territori.

Tuttavia, nonostante i centri commerciali garantiscano grande accessibilità, pedonabilità e visibilità per l’esercente commerciale, essi richiedono un investimento in costi fissi di tutto rispetto. Si pensi in particolare al costo dell’affitto, normalmente collocato su importi assai elevati, giustificati proprio dalla visibilità e dal (presunto) aumento di fatturato che dovrebbero garantire.

Al contempo sono i costi del personale a lievitare, perché la durata degli orari di apertura è incompatibile con le previsioni contrattuali relative ai negozi “normali”.

La variazione del fatturato in questi casi, anziché essere valutata in termini assoluti o anche solo relativi (per esempio +15% rispetto a un “normale” negozio gestito fuori da un centro commerciale), dovrebbe essere parametrata più correttamente alla variazione della redditività aziendale.

In altre parole si dovrebbe considerare non tanto il fatturato in sé, quanto piuttosto quale sia il punto di pareggio (break even point) e quali volumi siano necessari per coprire i costi fissi e raggiungere una redditività adeguata alle nuove dimensioni assunte dall’azienda.

Il controllo di alcuni costi per un equilibrio economico e finanziario

Il tema che stiamo affrontando introduce da un lato la questione del costo della crescita e dall’altro il rapporto tra costi fissi o di struttura e vendite.

Poiché nessun fatturato è gratis e le vendite non si possono ottenere a partire dai costi di approvvigionamento, allestimento e presidio fisico del territorio, occorre considerare con grande attenzione come sia possibile ottenere e consolidare un livello di fatturato adeguato a garantire nel tempo l’equilibrio economico e finanziario dell’impresa.

I costi fissi riguardano la superficie di vendita nel godimento beni di terzi e, soprattutto, il costo del lavoro (del personale assunto come delle ore di servizio del titolare, familiari, soci, ecc). Quest’ultima voce viene spesso trascurata nella valutazione delle performance delle imprese commerciali, sopravvalutando al contempo la redditività aziendale e confondendo il reddito da lavoro con il reddito da capitale.

È il caso di ricordare che questo tipo di valutazione potrebbe sortire effetti “sgradevoli” per l’imprenditore commerciale in termini di profittabilità reale del business e di convenienza (basti per tutti l’esempio dei tabaccai).

Allo stesso modo l’investimento in quote di mercato o in volumi di vendite effettuato mediante politiche commerciali particolarmente aggressive (prezzi finali per il consumatore, fruizione di sconti-quantità, premi o contributi a margine, particolarmente favorevoli) si può rivelare soddisfacente sotto il profilo quantitativo (la variazione in aumento del fatturato), ma molto meno sotto quello qualitativo.

A una variazione in aumento del fatturato potrebbe infatti corrispondere una riduzione della redditività aziendale, con ripercussioni sull’incidenza del primo margine sul fatturato, sul return on sales o ROS e quindi sulla capacità dell’impresa di generare un margine operativo adeguato.

Si tratta di temi che vanno affrontati con grande attenzione, approfondendo i conti aziendali e, soprattutto, facendosi adeguatamente aiutare da un consulente di fiducia.