Quanto dovrebbero pesare le scelte di un governo in un settore, quello bancario, dove a…
Arieccola!
Puntuale come una cambiale, ineluttabile come una scadenza fiscale, “vestita di nuovo come le brocche del biancospino” torna per noi la rivalutazione, rectius, il riallineamento dei valori del magazzino. E torna in una veste, quella contenuta nella legge finanziaria approvata il 30-12-2023 (L.213), che pur richiedendo ancora qualche precisazione operativa -probabilmente di competenza della Direzione Generale delle Entrate- sembra partire meglio della analoga legge risalente al 2009 e della quale fu artefice il (mai) rimpianto ministro Tremonti, che si concretizzò in un sostanziale fallimento. Il motivo dell’inutilità del provvedimento, ai fini del gettito fiscale, risiedeva, molto semplicemente, nel fatto che l’adeguamento veniva effettuato sul valore delle rimanenze finali, suddividendo i contribuenti in due categorie: quelli che avevano sempre sottovalutato le rimanenze per ridurre l’imponibile; quelli che avevano sempre sopravvalutato le rimanenze per mostrare utili inesistenti. Se per i contribuenti appartenenti alla prima categoria si trattava di dover dichiarare un maggior utile, tassato forfettariamente, per gli altri la questione era (ed è) molto più sostanziale, perché si tratta(va) di dichiarare le perdite fino a quel momento maturate e verosimilmente continuative, disvelando in molti casi non solo la probabile negatività del valore del patrimonio netto, ma anche la mancanza dei presupposti della continuità aziendale, con una fatturato inferiore a quello di pareggio e altre magagne, tra le quali un fabbisogno strutturale derivante da perdite. Ultimo, ma non per questo meno importante, il riallineamento dei valori del magazzino avrebbe comportato la necessità di dover registrare una perdita molto spesso in grado di intaccare, se non di annullare, il patrimonio netto, con tutte le conseguenze di cui al 2482 bis del c.c..
Il provvedimento contenuto nella legge finanziaria si discosta dal precedente perché consente di rettificare le rimanenze iniziali del periodo di imposta in corso al 30.9.2023, senza conseguenze sull’attività di accertamento e simili, ma anche senza conseguenze sul bilancio civilistico quali quelle, devastanti, della legge del 2009: ne deriva che i bilanci 2023 dovrebbero recare rimanenze iniziali e finali congrue e coerenti, poiché la rettifica delle iniziali non potrà che riverberarsi anche sul valore delle finali e non dovrebbero registrarsi perdite eccessivamente elevate, tali da dover adottare i provvedimenti di cui al 2482 bis, perlomeno per le società di capitali.
Intendiamoci, ne verranno sempre fuori due categorie di imprese, quelle che andavano meglio di quanto dichiarassero, e quelle che andavano peggio (o molto peggio) di quanto risultasse dai loro conti. E se per le prime si tratta di evidenziare niente di più di quelle che un tempo si chiamavano riserve occulte, senza discuterne la bancabilità, che al contrario ne verrebbe accresciuta, per le seconde si tratta di mettere in fila le perdite maturate fino al 31.12.2022. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, indovinate chi? Si potrebbe partire con una bella iniziativa del tipo “chi mette a posto le rimanenze e fa i business plan con noi, non solo non gli togliamo i fidi, ma lavoriamo ancora più intensamente insieme”; oppure “adesso che ti sei messo a posto col fisco, mettiamoci intorno a un tavolo e proviamo a vedere come andare avanti”. Sogni di una notte di mezzo inverno.
Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura un magazzino così lungo.
W.Shakespeare, Amleto, atto terzo scena 1 (semi-cit.)