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Bastava un niente per sorridere Una bugia per essere grande

L’osservatorio indipendente di Banca Passadore sul sistema bancario e finanziario presenta oggi i risultati della sua analisi sulla redditività e l’efficienza delle banche presso l’Università Bocconi.

Il lavoro dell’Osservatorio, che copre circa gli ultimi 20 anni, è stato curato dalle ricercatrici Brunella Bruno e Immacolata Marino, componente dell’Osservatorio stesso il prof. Marco Onado, la cui competenza e saggezza non possono che aver giovato al lavoro delle giovani colleghe.

Tuttavia è proprio Marco Onado, a proposito del fatto che nel periodo pre-crisi, ovvero 2000-2006, le banche più redditizie erano caratterizzate da dimensioni medie e grandi, ovvero con attivi compresi tra 10 e 30 miliardi di Euro o superiori, a spiegare i termini della questione. L’apparente contraddizione diviene, viceversa, ragionevole poiché “in questo caso, nei profitti delle grandi banche c’era la componente legata alla sottovalutazione del rischio”. La spiegazione, trattandosi di Onado, non fa una piega: il periodo 2000-2006 è quel periodo “magico” legato all’introduzione di Basilea 2 e dei rating, che genera il grande equivoco, circa il rapporto banca-impresa, su automatismi legati ai rating stessi etc., durante il quale tutte le banche, non solo quelle grandi, fanno sostanzialmente quello che vogliono. La questione, sostanzialmente, è rappresentata dalle garanzie, as usual. È solo con l’arrivo della grande crisi finanziaria e del debito sovrano che le autorità preposte alla Vigilanza mettono sotto torchio molte banche e ricercano ciò che prima non avevano mai ricercato, ovvero la qualità del processo del credito e dei risultati da esso emersi, culminando il tutto con le prescrizioni di Basilea 3 (2013), recepite in Italia nella circolare 285, dove si dice che il contenuto dell’istruttoria è la misurazione del rischio. Il che non elimina la preferenza per le garanzie, soprattutto se rilasciate dal FCG.

Onado conclude che “la dimensione delle banche non è una discriminante per efficienza e redditività.

Fin qui potremmo aver scoperto l’acqua calda, absit iniuria verbis: come affermano Bruno e Marino anche le banche grandi possono essere inefficienti, ovvero anche le grandi banche possono gestire malamente il rischio di credito e/o non riuscire a scendere sotto determinati livelli di cost/income ratio. Eppure la BCE chiede a gran voce aggregazioni per creare campioni nazionali: vicenda, quest’ultima, che non potrà mai essere spiegata apertis verbis poiché la riduzione del numero dei competitor agevola il compito del vigilatore.

Un aspetto assai importante è, infine, quello sottolineato da Onado riguardo al fatto che in Italia siano per lo più fallite banche di medio-piccola dimensione, legate al territorio: (…) va anche detto che si tratta di banche che hanno tradito il loro modello di business: non sono fallite perché erano banche del territorio, ma perché hanno compiuto una serie di errori strategici e gestionali che le hanno mandate fuori dal mercato.

Non so se ci sia qualcuno che sta tradendo il proprio modello di business tra le tante banche che conosco: ma in quella fase del tutto speciale che avviene all’interno del processo banca-impresa per cui si viene scelti e ci si sceglie, la questione è inevitabilmente destinata a venire fuori. Gli Orientamenti EBA-LOM chiamano le banche a decidere quanto e perché rischiare, chiamano le banche a valutare, al meglio delle conoscenze sul cliente al momento della concessione, che egli saprà restituire quanto dovuto: sulla correttezza di queste scelte, che coinvolgono inevitabilmente anche le imprese, solo il tempo consentirà di esprimersi.