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Debito finanziario vs flussi di cassa: la partita della sostenibilità.

A cura del Prof. Dott. Alessandro Berti.

Il Decreto emanato del Ministero della Giustizia in tema di “crisi d’impresa e risanamento aziendale”, datato 28 settembre si inserisce a pieno titolo in un periodo storico che fa a pezzi il liberismo economico “à la Friedman”, con buona pace dei sostenitori, durante questa crisi sempre presenti, di giudizi quanto meno inopportuni sia sull’Europa e il Next EU, sia sui provvedimenti presi del Governo Draghi.

Dapprima gli Orientamenti EBA ci ricordano che se c’è un ambito nel quale l’assenza di regole può far male, è proprio quello bancario, non bastassero gli scandali e la mala gestio che la lunga crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha evidenziato.

Rimanendo nell’ambito della gestione d’impresa è del tutto evidente come il Codice delle Crisi d’Impresa, parzialmente rinviato in alcune sue componenti, tuttavia sta molto a cuore al legislatore governativo, riformista come non mai e consapevole che non si può lasciare che le crisi si sviluppino e divengano incontrollabili, quanto piuttosto che occorra prevenirle e ridurne il più possibile la portata.

Sotto tale profilo, ma non solo, come più volte si è ripetuto in queste news, già il solo fatto che ormai da tempo sia in vigore la disposizione che detta l’obbligo, per gli amministratori di Società di capitali, di istituire gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili,  ovvero che impone, anche ai fini prospettici, di istituire in azienda appositi sistemi di controllo di gestione, nonché di pianificazione strategica (business plan), economico-finanziaria e patrimoniale (le famose proiezioni di cui parla EBA nei LOM) sembra andare nella direzione di voler influenzare, in qualche modo, le attività gestionali non appena al mero controllo finalizzato ad anticipare la crisi, ma, in senso meno riduttivo, a migliorare la consapevolezza delle principali coordinate gestionali.

Come ci ricorda l’Autorità Bancaria Europea, tali coordinate, e non appena dal 30 giugno 2021, sono il reddito e i flussi di cassa, come la stessa economia aziendale si è da tempo immemorabile incaricata di spiegare.

Non deve parere dunque strano, anche nel solco della Direttiva UE Insolvency, di prossimo recepimento nel nostro corpus legislativo, che si dettino regole da parte delle autorità competenti volte a influenzare le stesse best practices professionali.

In questo senso va sicuramente il decreto summenzionato, che nel riportare le indicazioni operative per la composizione negoziata della crisi detta espliciti passaggi, non banalmente tecnici, a coloro che intorno alla crisi si affaccendano e si affaccenderanno, in primis i commercialisti e i professionisti più in generale e, accanto a loro, le banche, ovvero lo stakeholder maggiormente interessato al sopraggiungere delle difficoltà imprenditoriali.

Nell’attesa di poter approfondire ulteriormente l’argomento, ci pare di grande rilievo la sottolineatura, già fatta propria da alcuni commentatori, dell’importanza della comparazione dei flussi di cassa attesi in rapporto all’ammontare del debito che deve essere ristrutturato, piuttosto che delle garanzie da offrire, come più volte ripetuto in sede di esposizione delle prescrizioni EBA.

In tal senso deve essere letta anche la predisposizione, da parte del Ministero di Giustizia, di un test fondato principalmente sui dati di flusso a regime, da comparare rispettivamente sia con le linee di credito da utilizzarsi stabilmente da parte dell’impresa, sia con i flussi di cassa in uscita previsti. È agevole individuare, nella proposizione ministeriale, i due indicatori principali della sostenibilità del debito, ovvero il rapporto tra PFN ed EBITDA da un lato e il DSCR dall’altro, sempre meno “elasticizzabili” a piacimento del valutatore, soprattutto bancario, e sempre più incardinati nella direzione di una definizione univoca e corretta della capacità di rimborso: quella di saper fare fronte alle proprie obbligazioni passive in maniera ordinata e alle scadenze pattuite.