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Come posso valutare la fattibilità economica e finanziaria degli investimenti?

Spesso ci si domanda se valga la pena investire direttamente in beni strumentali, a partire soprattutto da quello che tale non è, ovvero l’immobile. Sotto tale profilo infatti un bene immobiliare dovrebbe essere ritenuto strumentale, e quindi effettivamente necessario, solo in rare e ben specifiche circostanze: il centro cittadino per una gioielleria o una pellicceria, un ristorante in riva al mare o altre localizzazioni che siano particolarmente confacenti all’attività svolta.

L’immobile continua ad occupare, a nostro parere indebitamente, gran parte dei sogni di molti piccoli imprenditori, che vedono in esso la realizzazione di un proprio sogno, il coronamento di tanti sforzi, il frutto sudato di tante fatiche e di tanti sacrifici.

Un qualsiasi investimento dovrebbe essere valutato in funzione del fatto che esso sia capace di generare valore, ovvero Ebit incrementale rispetto alla situazione attuale dell’azienda, e che i flussi di cassa prospettici siano adeguati e sufficienti rispetto al suo costo. In poche parole i primi passi da compiere non possono prescindere da una razionale valutazione della convenienza e fattibilità economica e finanziaria dell’operazione.

Dal nostro discorso escono però tutti quegli investimenti resi necessari dall’adeguamento a normative di legge e dunque obbligatori, non facoltativi né oggetto di scelta, pena il commettere reati o altri illeciti in materia di sicurezza, igiene, tutela del lavoro. In tale caso infatti non vi sono ritorni specifici ma solo la necessità di ottemperare a norme e regole “imperative”.

La base di ogni investimento: la fattibilità economica


Gli investimenti vanno dunque valutati anzitutto in termini di convenienza economica a effettuarli, ovvero calcolando il ritorno che essi sono in grado di garantire in un lasso accettabile di tempo. Se ad esempio le prospettive del pay-back si collocassero troppo in avanti nel tempo, aumenterebbe l’incertezza e dunque il rischio legati all’investimento stesso, che potrebbe non ripagarsi adeguatamente o non ripagarsi affatto.

Il primo passo per verificare la fattibilità va compiuto sulla base della redazione di un piano economico-finanziario di previsione che sia in grado di stimare correttamente, perlomeno a 3/5 anni, la maggiore redditività della gestione caratteristica che l’investimento stesso sarà in grado di assicurare in termini di maggiori ricavi attesi e di savings rispetto ai costi che l’impresa attualmente sostiene.

Tale redditività deve necessariamente tenere conto dei ricavi come dei costi incrementali, senza trascurare, per esempio, un adeguato tasso di ammortamento, la sostituzione di un affitto, gli effetti fiscali, ecc. Fattori che vanno esaminati ma che non potranno mai essere l’elemento decisivo per la scelta, altrimenti si rischia di cadere in errori gravi che potrebbero rivelarsi fatali in seguito. Il risparmio fiscale infatti rischia spesso di apparire come un flusso in entrata mentre è solo un minore flusso in uscita (i due concetti non sono equivalenti) che può concretizzarsi unicamente in presenza di reddito positivo.

Moltissime operazioni di leasing sono state effettuate in maniera sbagliata perché presupponevano una capacità di assorbimento da parte dell’Ebitda dei maggiori oneri che poi si sono effettivamente verificati (il leasing accelera, raddoppiandolo, il processo di ammortamento). Registrare delle perdite a seguito dell’effettuazione di un investimento, in effetti, non pare molto razionale e neppure, sotto il profilo del rischio, particolarmente “nobile”, se non si intende il mestiere dell’imprenditore quale quello di uno sconsiderato: la fattibilità economica non è un optional.

Vale la pena ricordare che il basso costo del credito non autorizza qualunque tipo di operazione che contempli la parola “investimenti”, poiché ci si deve accertare anche della capacità dell’azienda di ripagare il debito stesso: sotto tale profilo il periodo storico che stiamo attraversando può, in effetti, indurre in errore.

Secondo passo: valutare la compatibilità finanziaria


Prima di passare agli aspetti di compatibilità finanziaria degli investimenti che l’imprenditore decide di fare, è bene sottolineare che ripetuti investimenti di “mantenimento”, che si ripresentano ogni anno ma che vengono capitalizzati, dovrebbero fare riflettere l’imprenditore stesso sul costo della formula competitiva aziendale in quanto assorbe liquidità in misura costante in ogni esercizio.

Dopo aver redatto i conti economici previsionali per valutare la fattibilità economica di un investimento occorre procedere alla scrittura degli stati patrimoniali prospettici con l’obiettivo di calcolare i flussi di cassa attesi e soprattutto la loro attitudine a fronteggiare i fabbisogni e gli impegni assunti dall’impresa.

Non è sufficiente che la banca sia disposta a offrire copertura al fabbisogno rappresentato dai nuovi investimenti o che vi siano magari garanzie pubbliche a rafforzare le certezze bancarie, occorre in primo luogo che l’investimento sia sostenibile, ovvero che la struttura finanziaria di arrivo (debito più mezzi propri) possa essere adeguatamente sopportabile dall’impresa. Non solo il capitale di rischio deve dunque essere sufficientemente remunerato, ma il nuovo debito necessita di sostegno in un maggiore, più stabile e consolidato livello di Ebitda.

Prerogative che sono rese possibili solo da un corretto processo di programmazione finanziaria che individui correttamente:

  • Il fabbisogno
  • Le più adeguata forma tecnica per la sua copertura
  • La giusta durata in relazione alle esigenze dell’impresa
  • La possibilità di rimanere solvibili, in condizioni di continuità aziendale, a seguito dell’effettuazione dell’operazione