skip to Main Content

I garantiti

Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, intervenendo sul Sole 24Ore dell’11 gennaio, in perfetta simbiosi (si direbbe mutualistica, invadendo il campo delle scienze naturali) con il Presidente dell’Abi, Patuelli, auspica la “proroga delle misure di sostegno alle imprese contenute nel Decreto legge Liquidità (…).” Non solo: vi è la “necessità di rinegoziare le esposizioni finanziarie con le garanzie di Ismea e Mediocredito Centrale (…),” al fine di “limitare gli effetti della crisi, grazie all’intervento dello Stato come garante delle operazioni di rinegoziazione del debito con l’allungamento della durata dei finanziamenti.

In effetti la data del 30 giugno 2022, quando anche gli stock di debito già esistenti dovranno essere esaminati secondo i criteri EBA-Lom, appare ancora lontana; d’altra parte è lontanissima già adesso l’idea di fare a meno delle garanzie, anche per le nuove operazioni, quando è noto che i nuovi affidamenti, a far data dal 30 giugno 2021, non dovrebbero essere basati prevalentemente sull’esistenza di garanzie, quanto piuttosto sulla capacità dei “flussi reddituali” di dimostrare un’effettiva capacità di rimborso.

In altre parole, come molti analisti fidi e gestori di banche sanno bene, in questo momento va tutto bene o quasi a condizione che ci sia la garanzia del Fondo Centrale di Garanzia, al contrario di quanto pensa, dati alla mano, il Governatore della Banca d’Italia Visco, quando dice che i crediti riclassificati in stage 2 sono aumentati del 50% (ovvero che il deteriorato, perlomeno a livello di inadempienze probabili, è schizzato assai all’insù).

La conclusione è abbastanza semplice: facciamo del deteriorato, ci pensa lo Stato a ripianare.

È lo stesso Giansanti ad affermare, con un errore concettuale da matita blu, che “l’elevato indebitamento, specie nei settori più colpiti dalla crisi innescata dalla pandemia, ha comportato squilibri di natura finanziaria e patrimoniale.” Lo squilibrio patrimoniale c’era e c’è sempre stato, figlio di quell’elevato indebitamento che nasce dalla sottocapitalizzazione endemica delle Pmi italiane, dalla loro chiusura al capitale di rischio, da sovrainvestimenti (spesso di natura immobiliare) accompagnati da sovraindebitamento. E nel primario, anche se non ci si vuole convincere di questo, l’elevato indebitamento è figlio sia della troppo piccola dimensione aziendale media, sia della marginalità e della redditività. Invero da sempre assai modeste.

A dare retta a Giansanti, poiché si tratta di “squilibri reversibili” – salvo poi contraddirsi quando afferma che le PMI “sovente non riescono a evitare che lo stato di difficoltà degeneri in insolvenza”-, occorre continuare a dare sostegni pubblici.

Sia l’uno, sia l’altro (Patuelli) fingono di non sapere che il problema che sta montando è quello della capitalizzazione delle banche, che non potranno ignorare troppo a lungo l’assorbimento patrimoniale determinato dal credito deteriorato, a tacere del rifinanziamento del Fondo Centrale di Garanzia, verosimilmente a debito. L’altro tema, assente peraltro nel dibattito, salvo la sua fugace comparsa in occasione del documento del Gruppo dei 30, ormai molti mesi fa, è quello delle imprese-zombie, ovvero delle imprese che continuano a rimanere (?) sul mercato grazie ai sostegni bancari, facendo concorrenza a quelle sane a spese dello Stato, che rischia di pagare, per quelle moratorie, un conto da dieci miliardi.

E guai a chieder loro un business plan, potrebbero pensare che sia una richiesta lunare. I business plan non servono, ci sono le garanzie pubbliche: se fosse davvero così, alla lunga non servirebbero nemmeno quelli che li esaminano, anche perché non lo sanno fare.

Serviranno avvocati, per parlare, tra qualche anno, di concessione abusiva di credito, ricorso abusivo al credito e bancarotta preferenziale. Noi ne parliamo prima: il 27 gennaio 2022. Tutti convocati.