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L’autunno caldo

Circa 60 anni fa, con la riapertura delle fabbriche dell’estate, iniziava un lungo periodo di lotte sindacali, passato alla storia come “l’autunno caldo”. Al di là di come poi si sarebbero svolte effettivamente le agitazioni sindacali (Contessa, che ascolterete dopo, non è certamente una canzone pacifista), certamente esse esprimevano il desiderio della classe operaia, tenuta fuori dai vent’anni di boom economico (1946-1968), di godere di una distribuzione dei profitti meno squilibrata a favore dei ”padroni” che tenesse maggiormente conto delle esigenze delle classi lavoratrici. Dalle lotte sindacali di quegli anni esce rafforzato il sindacato, con lo Statuto dei lavoratori, mentre il padronato, forse sazio di profitti, tiene un profilo basso, accettando tutte o quasi le richieste della controparte. Al punto che sarà proprio Agnelli (Agnelli e Pirelli ladri gemelli) stava scritto negli striscioni, a firmare il famigerato accordo sulla “scala mobile”, che agganciava automaticamente i salari all’inflazione, in una spirale sempre viziosa (la scala mobile venne abolita solo da Craxi e negli anni ’80).

Riflettevo su queste cose, io che sono un boomer che, seppure non ha fatto la Resistenza e nemmeno il ’68, era attento alle cose, compresa l’Irlanda del Nord e il Vietnam, dopo essere stato “amabilmente intervistato da radio Blu di Macerata sul significato dei soldi e del loro essere sterco del demonio. E pensavo che c’è voluto un papa, Francesco, per far tornare a riflettere sul senso del lavoro. Un grande maestro dell’università cattolica di Milano, Mons.Giussani, ci ricordava che ”la presenza di Cristo, nella normalità del vivere implica che non sia nulla di inutile o di estraneo, che nasca un’affezione a tutto, con le sue conseguenze magnifiche di rispetto della cosa che fai, di lealtà con la tua opera concreta.

Questo autunno si preannuncia caldo non per nuovi maggiori scioperi, ma perché costringerà operai e imprenditori a lavorare insieme, ognuno nell’ambito, sul senso di quello che si fa, sulla lealtà con la tua opera concreta.

Perché l’azienda non è mai tua fino in fondo, ma devi lasciarla migliore di come l’hai trovata: e chi lavora con te contribuisce alle conseguenze magnifiche di rispetto della cosa che fai.

Buon lavoro.