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Quando l’allenatore non ti vede

Quando l’allenatore “non ti vede” puoi essere bravo quanto vuoi ma non giochi.

Ti alleni regolarmente ma la domenica, o il sabato o il lunedì o quando diavolo si gioca, tu NON giochi. Accade anche l’opposto: che tu sei il cocchino dell’allenatore e sei ritenuto indispensabile, e giochi sempre, magari in un ruolo importante, fondamentale anche se ci sarebbe qualcuno più bravo di te.

Insomma, sei Gagliardini e non si capisce bene perché ti fanno giocare ancora.

Si chiederanno i miei piccoli lettori se questa newsletter non sia divenuta un organo on line di informazione e commento sportivo, come ce ne sono tante: si tranquillizzino, non è così, oggi parliamo di lavorare in banca.

Ma è difficile non pensare a quella frase, tante volte sentita sugli spalti di San Siro o in televisione -“l’allenatore non lo vede”- tutte le volte che mi raccontano di fatti accaduti in banca e che burocraticamente dovrebbero forse essere confinati al tema delle cosiddette relazioni sindacali o in maniera più bocconiana al coaching e invece riguardano i rapporti umani, il valore dei singoli, la capacità di valorizzarli.

A quanto pare, essere fedeli adulatori in banca, mi dicono, serve moooolto [1] a essere visti dall’allenatore, anche a scapito di chi magari “giocherebbe” meglio ma si fa vedere meno, è meno adulatore, racconta le cose come stanno. In realtà, e me ne sono accorto di persona, servirebbe un esperto di organizzazione e di “relazioni nelle organizzazioni” per spiegare perché certi soggetti occupino determinate posizioni e come facciano a rimanerci.

La sensazione, sempre più palese, non è appena quella di una comfort zone che, se abbiamo raggiunto delle responsabilità e un certo grado, fatichiamo ad abbandonare (è certamente più facile lavorare se si è circondati da adulatori consenzienti che da liberi e preparati pensatori) quanto piuttosto quella, più bieca e rinchiusa in sé stessa a rimirarsi l’ombelico, di una gestione del potere fine a sé stessa. Quella costantemente espressa nei rapporti umani illustrati nei film di Paolo Villaggio sul suo Fantozzi.

Di affermazioni del proprio ego è piena la vita di ognuno di noi, la incrociamo continuamente. Ma saper valorizzare gli altri e farli crescere è un’altra cosa, soprattutto in banca; si chiama educare, insegnare, formare. Vuol dire uscire da sé stessi e aprire gli occhi sul mondo; un’attitudine difficile da raggiungere, soprattutto per certi funzionari, abituati all’incenso.

Trascurare gli altri che lavorano con te, non vederli, non è appena un errore grave per chi lavora in banca e in banca ha delle responsabilità (ma anche in qualunque altro posto di lavoro), vuol dire impedire che si realizzi la persona che si esprimano dei carismi, delle competenze, un pensiero critico.

A meno che, proprio quest’ultimo, non sia il  problema.

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[1] Citazione, per chi non lo sapesse, da James Ellroy, mio giallista preferito (e anche di SuperMario Draghi).